Mar 12, 2020

Interviste Siciliane: Stefania Petrotta

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Stefania Petrotta

Le interviste Siciliane.

 

Nata ingegnere edile e paesaggista per poi dedicarsi al buono che c’è nella Sicilia dalle mille tradizioni “che variano da casa a casa”. Una donna che conosce luoghi, persone, ricette, idee, che osserva, gestisce e assaggia, Stefania che cucina, che ha viaggiato per lavoro e che è tornata nella sua Isola, Stefania che organizza eventi che narra la sua terra e i suoi chef. La sua intervista appassionata.

 

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La Sicilia è la tua terra natìa, qual è il primo sapore che le associ e perché.

 

Se dovessi chiudere gli occhi e attivare la memoria olfattiva, il primo profumo che arriverebbe sarebbe quello delle melanzane fritte. Lontanissima dall’idea di “puzza di fritto”, la melanzana fritta vuol dire casa, estate, famiglia. Personalmente mi ricorda le mattine in cui mi svegliavo dalla nonna e, odorando l’aria già dal letto, cercavo di indovinare cos’avremmo mangiato a pranzo. La sua parmigiana di melanzane è un ricordo dolcissimo, struggente, perché lei non c’è più, e indelebile. Ma anche quello di mia mamma che ci preparava il pane con le melanzane fritte da portare al mare “per merenda”. E comunque, camminando per i vicoli del centro storico, quando senti questo profumo, sai che è arrivata l’estate o comunque la bella stagione. E bella stagione chiama mare, sole e tanta gioia. E dunque il profumo della melanzana fritta è gioia!

 

 

Un’isola un vero e proprio universo, raccontaci la tua Sicilia, quella che ami di più: i tuoi luoghi segreti.

 

Io amo la Sicilia; la sicilianità scorre nelle mie vene fin da quando ho visto la luce, pur avendo io antiche origini albanesi (la mia famiglia fa parte della comunità arbëreshë). Ecco dunque che non è facile per me scegliere. Sono sicura, infatti, che una volta inviatati la mail, me ne verranno in mente un’altra decina almeno, ma tant’è… I miei luoghi del cuore dunque. Sarebbe facile dire Palermo, amata e odiata “patria”, perché Palermo ha davvero tutto dentro di sé: arte, architettura, storia, ,paesaggi, vita mondana. In una parola, bellezza. Ecco perché quando vedo che i suoi stessi cittadini la deturpano, mi si strazia il cuore. E poi Terrasini, la mia seconda casa, il mio mare, Cala Rossa con il tramonto più bello del mondo finora da me visitato, le torri di avvistamento, erroneamente dette “saracene”, la spiaggia bianca seguita dalla costa rocciosa con piccoli faraglioni affioranti dal mare. E se dico faraglioni mi viene in mente la tonnara di Scopello. Da lì alle saline di Marsala, con i mulini a vento e il sistema di dissalazione è un fiat. Ancora mare, Capo Calavà in provincia di Messina: spiaggetta di ciottoli semi deserta anche a Ferragosto e Eolie davanti, lì, schierate come a mostrarsi vanitose in tutta la loro bellezza. Continuo e arrivo a Ortigia, il centro storico di Siracusa, unico altro posto in Sicilia dove vivrei, con le sue stradine strette e abbaglianti al sole ma tremendamente romantiche la sera. E poi c’è l’Etna, maestoso, dove devo necessariamente andare almeno una volta ogni due mesi per godere della sua energia che mi fa vibrare tutta dentro. Devo fermarmi, altrimenti non la smetto più. Ma ho lasciato apposta, dulcis in fundo, la mia isola preferita al mondo: Pantelleria, un’isola che prova in tutti i modi a respingerti, con la sua roccia nera e tagliente, il suo vento costante tutto l’anno, la mancanza di acqua dolce. Ma Pantelleria è anche un mare che ti sconquassa l’anima, il lago di Venere con i suoi colori surreali ed i fenicotteri, la sauna naturale, le acque calde, la montagna con la pineta dove non te l’aspetteresti e, soprattutto, il cielo stellato più bello, nero che più nero non si può con tutti questi piccoli diamanti luccicanti che ti danno un senso di vertigine quando, mentre lo ammiri sdraiata sul tetto di un dammuso, hai quasi la sensazione che ti possa finire addosso. Ed è magica, di una magia tale che non si può spiegare se non la si prova. Pantelleria non conosce mediazioni: o la ami o la odi. Io la amo così tanto che ogni volta che la nave attracca all’alba nel suo bruttissimo porto, gli occhi mi si inumidiscono di commozione, come se fossi una vecchia babbiona.

 

 

Prima ti abbiamo chiesto “di cosa sa” la Sicilia, ora approfondiamo la questione cibo! Sappiamo che impossibile scegliere, ma con un piccolo sforzo ti chiediamo il tuo piatto preferito. Se ce ne sono anche due o tre, non preoccuparti, va bene lo stesso.

I siciliani sono sempre presi in giro perché si dice che friggano qualsiasi cosa, e probabilmente è anche vero. Eppure la cucina siciliana è per lo più una cucina che ha intrensecamente in sé i principi della dieta mediterranea e quindi salutare: tanta frutta bellissima e profumata, tante verdure, decine di tipologie di grano autoctono (per lo più grano duro) da cui provengono paste e pani dal profumo unico, tanto pesce e anche un po’ di carne da razze autoctone pregiate, come la vacca Cinisara o il maialino Nero dei Nebrodi, le cui carni contengono preziosi antiossidanti ed hanno livelli di colesterolo bassissimo. Il tutto irrorato dal vino che cambia incredibilmente a seconda della zona di produzione. Ecco dunque che il piatto che sopra ogni cosa amo e su cui non ho dubbi è la pasta con i tenerumi. Adesso si può trovare anche nel resto d’Italia ma, fino a meno di una decina di anni fa, la “cucuzza longa” (in italiano “lagenaria”) era una varietà di zucchina presente solo nella nostra isola. Lunga anche un paio di metri, colore verde chiaro chiaro, viene utilizzata bollita nelle minestre estive o con le patate (sempre bollite a minestra). Le foglie, vellutate, di un bel colore verde scuro, simili a grossi fazzoletti tondeggianti (anche al tatto), si chiamano tenerumi e ci si fa una minestra estiva buonissima con lo spaghetto spezzato, i pomodorini e tocchetti di lagenaria. Per me è il piatto della memoria perché nella rito della preparazione è racchiuso il mondo della mia infanzia. Dalla pulizia delle foglie che coinvolgeva tutte le donne della famiglia, compresa me bambina, in un’atmosfera di chiacchiere sussurrate che, sono certa, costituisse l’ingrediente fondamentale della ricetta; alla cottura con mio assaggio obbligatorio finale, quale consulente accreditata di casa, il momento in cui si aggiungeva lo spaghetto sminuzzato rigorosamente con il metodo della nonna: la pasta avvolta in un canovaccio che poi viene “strisciato” contro il bordo del tavolo. Ancora oggi nella prima cucchiata è racchiuso questo mondo domestico. E poi la prima pasta con i tenerumi e il primo fico vogliono dire davvero estate.

 

 

La Buona Tavola è la tua passione e il tuo lavoro. Racconti di maestrie culinarie, di opere d’arte fatte per essere mangiate, conosci la tua isola molto bene anche da questo punto di vista. Cosa c’è al momento e come la tavola siciliana si sta evolvendo. Netflix ha parlato di Corrado Assenza in Chef’s table: what’s next? Cosa bolle in pentola?

Iniziamo dal tasto dolente: la Sicilia arriva sempre dopo. Che da un lato ci ha preservato dal fare tante sciocchezze ma dall’altro ci fa trovare sempre indietro rispetto ai progressi che la cucina fa. Vado spesso a Milano nelle cui cucine, variegate e stimolanti, trovo sempre tanti spunti di riflessione. Vorrei che lo facessero così spesso anche gli chef della mia terra, perché esperienza è sempre arricchimento. Invece, specie quelli di “alto livello”, sono sempre un po’ arroccati, “vecchi”. Ma per fortuna, e questa è la nota positiva, vedo crescere tantissimi giovani, curiosi e con la voglia di fare rete, cosa che sappiamo essere importantissima specie oggi, ma che è davvero lontana dalla mentalità siciliana. Sono dunque fiduciosa, e credo che la cucina stia abbandonando orpelli obsoleti e stia puntando ad una tipologia di “trattoria 2.0”, come la chiamo io: ricette tradizionali non stravolte. No rivisitazioni, no scomposizioni, ma ricerca della nostra storia e riproposizione di essa secondo la memoria del singolo, in un’isola in cui la cultura gastronomica non solo varia da provincia a provincia, da paese a pese, ma anche da casa a casa. E vedo anche i primi accenni ad una sperimentazione che tiene conto della sostenibilità ambientale. Lì dove Ambrosino e Aliberti fanno scuola già da anni altrove, finalmente stanno arrivando, almeno con la curiosità, a piccolissimi passi, anche parecchi giovani, magari proprio dopo aver fatto esperienze fuori dall’Isola. Io mi auguro che si proceda su questa strada e non ci si distragga perché oggi è fondamentale che anche in cucina si parli di sostenibilità, si lotti contro gli sprechi e si tenda a riutilizzare tutto.

 

 

 

 

Le Interviste Siciliane sono un progetto pensato per il nostro Libro: La Caponatina di Adelina. Cliccate qui per scoprire di più!